PERCORSO: L’itinerario ad anello parte dal Piccolo Teatro “G.Pietrobon” di Paiane; attraverso antichi tratturi, porta al sito archeologico di Reveane. Da qui altre strade collegano Casan e Soccher, per poi ritornare nella frazione di Paiane.
DISLIVELLO: Dai 388 metri di Paiane si passa ai 508 di Arsiè, 474 di Casan, 480 del bastione roccioso del Castello di San Giorgio a Soccher.
DURATA: La durata è variabile a seconda del percorso prescelto, da un minimo di un’ora ad un massimo di 4-5 ore per tutto l’anello.
DIFFICOLTA’: I tracciati non presentano particolari difficoltà di percorribilità, sono comunque consigliati gli scarponcini. Gli itinerari lungo i vecchi percorsi sono caratterizzati spesso dal fondo sterrato o acciottolato (solo in alcuni tratti in pendenza essi sono stati recentemente asfaltati) e pertanto non sono sempre percorribili per persone con ridotte capacità motorie. Il sito di Reveane è direttamente raggiungibile dalla strada comunale, e pertanto visitabile anche dai diversamente abili.
Il percorso dell’itinerario archeologico di Reveane inizia presso la sede del Teatro comunale di Paiane, frazione dell’Oltrerai. Il tracciato proposto segue la comoda strada sterrata affi ancata al canale dell’ENEL che trasporta le acque provenienti dalla centrale idroelettrica di Soverzene al lago di Santa Croce.
Superata una fitta pineta artificiale si raggiunge l’innesto con il percorso asfaltato. Ai bordi del trivio interessante il cippo in pietra che segnala le diramazioni. Poco più avanti appare alla sinistra il complesso della Villa Cesa, oggi appartenente alla famiglia Orzes. Lasciato il complesso della villa si prosegue risalendo il pendio dell’altopiano che circonda l’edificio. Il percorso si immerge in un bosco di noccioli e carpini, con ai lati antichi alberi piantati a fi lare. Si risale un primo tratto sterrato e poi si prosegue su strada asfaltata in pendenza. Qui il tracciato è circondato a monte
ed a valle da muri in pietrame, in parte recuperati dalla Comunità Montana Bellunese; presentano in alcuni punti aperture che permettono l’accesso ai pianori falciati o seminati a mais.
Raggiunto il primo curvone si lascia la strada principale per seguire a destra un tracciato pianeggiante che divide il pianoro a metà. A monte ed a valle del percorso si trovano filari di alberi (a monte anche una linea telefonica indica che siamo sul percorso esatto) e muri in pietrame a secco in parte crollati ma in corso di recupero.
Il tracciato prosegue pianeggiante fino all’innesto con la strada asfaltata proveniente da Casan.
Lungo questo percorso si possono fare interessanti osservazioni naturalistiche, ma sono da apprezzare soprattutto le opere dell’uomo. Come mai sono state realizzate opere così imponenti per costruire una strada che era già di per sé pianeggiante? (in alcuni punti i muri a valle sono alti circa due metri). Raggiunta la località un tempo denominata “il Maset” (toponimo traslato dopo
il Rio di San Pietro) e oggi denominata “Spineda” è possibile rinvenire un’ampia area delimitata con muri a secco di varia foggia e dimensione nascosta dalla vegetazione di nocciolo, faggio e carpino. Quest’area è particolarmente interessante perché ospita al suo interno una fonte un tempo denominata “Aga Santa” forse per le sue proprietà curative. Ma cosa delimitavano questi muri a secco, semplicemente le proprietà? O sono i confini di un villaggio alto medievale?
Dopo aver percorso per un breve tratto la strada vicinale per Casan ci si trova ad un trivio, evidenziato questa volta da un capitello votivo in muratura ben curato; nell’area, delle panchine
invitano alla sosta.
A monte del tracciato un segnavia indica il sentiero naturalistico Alpago Natura, che permette di attraversare tutte le vallate dell’Alpago, molto probabilmente lungo un’itinerario percorso da
secoli. Dal trivio la strada in salita a sinistra conduce ad Arsiè, il tracciato pianeggiante a Reveane. La strada è contornata da muri a secco, che in questa tratta a valle si alzano dal piano stradale per circa 60-70 cm in una sorta di protezione per i viaggiatori. Superata una casa d’abitazione, il comodo percorso sterrato imbocca la valletta solcata dal Rio di San Pietro, che si supera attraversando un ponte in calcestruzzo.
Il percorso porta in breve al sito archeologico di Reveane, meta principale dell’escursione (500 m prima dell’abitato).
Dietro al muro di cemento a lato della strada per Pieve d’Alpago è stata scavata nel corso del 2004-2005, un’ampia area in cui gli archeologi hanno rinvenuto e studiato numerosi reperti d’epoca longobarda. Oggi l’area di proprietà della famiglia Molaschi – la cui sensibilità ha permesso lo sviluppo delle ricerche archeologiche – è visitabile, anche con l’ausilio di una guida specializzata, e restituisce l’immagine di come fossero costruite in epoca altomedievale un’abitazione e le sepolture.
L’itinerario relativo all’epoca longobarda si conclude con la visita al sito archeologico di Reveane, ma per chi dispone di più tempo, consigliamo di continuare il percorso ad anello proposto nella cartina, passando per le frazioni di Reveane, Arsiè, Casan e Soccher. Da Casan a Soccher l’itinerario attraversa l’antica frana del Dolada. Lasciata la strada asfaltata che attraversa l’abitato di Casan troviamo il sito del Sas Bragadi in località Masarei, ammasso roccioso precipitato dal Dolada e demolito nel 1960 dai cavatori del luogo per produrre sassi.
In quest’area sono stati realizzati nei secoli numerosi terrazzamenti, per coltivazioni alcuni dei quali datati 1630. Qui alla fine dell’800 fu rinvenuta una tomba in caverna dove erano stati sepolti numerosi corpi in più epoche successive. L’itinerario prosegue quindi verso il Castello di San Giorgio di Soccher per poi rientrare a Paiane.
Lungo tutto il percorso oltre ai due siti archeologici si potranno osservare siti usati e manufatti realizzati dagli scalpellini locali (cave per l’estrazione di mole per mulini, fornaci da calce, fontane e capitelli votivi).
IL SITO LONGOBARDO DI REVEANE
Il sito archeologico di Reveane è frutto di una scoperta casuale effettuata nel dicembre 2004 durante lo scavo per la posa di un tubo fognario dal signor Luciano Molaschi, proprietario dell’area. Compresa l’importanza dei rinvenimenti il Comune di Ponte nelle Alpi finanzia un primo intervento di scavo per il recupero della sepoltura con corredo in armi. Nel 2005 promuove una seconda campagna di scavi nella stessa area.
Fino a questo momento sono state documentate tre sepolture di età longobarda e i resti di un edificio, con ogni probabilità coevo alle tombe, rinvenuto a nord delle sepolture. Le tre sepolture ad inumazione sono tra loro allineate con andamento nord ovest-sud est, con la testa deposta a nord ovest che guarda verso est. I soggetti sono deposti in fosse delimitate con lastre di arenaria di piccole dimensioni e scaglie di calcare non lavorate. Di dimensioni maggiori sono invece le lastre che compongono la copertura delle tombe; nel caso della tomba 2 tale copertura è costituita da una sola grande lastra di riutilizzo, sbozzata e levigata.
Nella prima delle sepolture indagate, denominata TB 1, è deposto il corpo di una persona di sesso maschile di età compresa tra i 25 e i 30 anni, con un corredo tipico della ritualità funeraria longobarda composto dalla spada corta ad un taglio in ferro (scramasax o sax) e da un coltellino, contenuti in origine nello stesso fodero. La sepoltura ha poi restituito i resti della cintura di sospensione delle armi appena descritte: sono state infatti rinvenute le placche, il puntale e la fibbia in bronzo placcato d’argento e decorati con motivi “a occhi di dado”, riferibili ad una tipologia stilistica che rimanda alla prima metà del VII secolo. Della sepoltura TB 2 rimangono pochi resti ossei corrispondenti all’omero e all’avambraccio destro e parte delle coste destre frammentarie pertinenti ad un bambino tra gli 8 e i 10 anni di età, inumato senza oggetti di corredo. La terza, TB 3, infine, è riconducibile ad un soggetto di sesso maschile morto all’età di circa 15 anni e seppellito con un solo oggetto di corredo costituito da un coltello rinvenuto dietro la schiena. Poco a nord delle tre sepolture sono stati rinvenuti i resti di un edifi cio, compreso soltanto in parte all’interno dei limiti di scavo. Esso si presentava come un corpo di fabbrica a pianta rettangolare a sviluppo nord-ovest/sud-est e suddiviso internamente in due vani, con lato minore di m 5 e lato maggiore osservato per una lunghezza pari a m 7,5. Le murature sono state realizzate con scaglie irregolari di calcare non lavorate e legate con scarsa malta e sono conservate con un alzato che nel lato settentrionale raggiunge il metro di altezza. Dei pavimenti, realizzati con ogni probabilità in materiale deperibile, si sono conservate soltanto le preparazioni costituite da fitte costipazioni in scaglie di calcare locale che avevano la funzione di drenaggio. Dopo l’abbandono della struttura si sono accumulati altri strati di materiali e nel mezzo del vano che occupa la parte est della casa, gli strati di crollo vengono incisi per approntare una struttura quadrangolare delimitata da lastre di arenaria poste in verticale. Questo manufatto (denominato Struttura B) ha dimensioni di m 1,20×1,20, profondità massima di circa 30 cm e presenta una piccola apertura negli elementi di delimitazione nell’angolo nordovest; al momento la datazione e l’utilizzo di questa sorta di “vasca” sono enigmatici, data la scarsità di confronti di simili strutture individuate in area. Tuttavia il riempimento di piccoli ciottoli selezionati e la posizione in una zona che da sempre è ritenuta scarsamente drenante suggeriscono l’ipotesi che il manufatto sia stato eseguito per la raccolta e la depurazione delle acque di superficie attraverso la decantazione. Il sito di Reveane si rivela di notevole importanza per la presenza delle sepolture di età longobarda, (le prime regolarmente scavate in provincia di Belluno) e per il rinvenimento dell’edificio destinato con ogni probabilità ad abitazione. Anche se i dati in nostro possesso non consentono una datazione precisa di questo corpo di fabbrica, la giacitura delle tombe, perfettamente allineate di fronte al prospetto meridionale dello stabile, consente di ipotizzare che l’edificio sia coevo alle sepolture. Ci troveremmo di fronte, dunque, ad un esempio di nucleo abitativo “misto”, caratterizzato cioè dalla commistione tra spazio di vita quotidiana e area a destinazione funeraria. Si tratta di un caso piuttosto raro nella letteratura archeologica, assimilabile a quelli documentati nella bassa pianura veronese (Olmo di Nogara) o in contesti urbani sistematicamente indagati (Brescia – Santa Giulia), o alle recenti scoperte piemontesi di Collegno (Torino), Frascaro e Mombello Monferrato (Alessandria).
IL SAS BRAGADI DEI MASAREI – CASAN
Alla fine di gennaio 1884 Agostino de Marchi abitante di Casan inseguendo una volpe individua la sua tana, ove sono presenti molte ossa e crani, sotto un enorme masso allora conosciuto con il nome di Sas Bragadi. Nei mesi successivi la tana viene scavata da Don Pellegrini e successivamente dall’allora ispettore agli scavi per il distretto di Belluno, cav. Osvaldo Monti. La tana, in realtà era una tomba contenente numerosi reperti fra cui:…una assai considerevole quantità di ossa umane di ogni sorta… circa venti crani, dei quali uno solo intatto e che si potè conservare: …e in mezzo a questi furono riconosciute molte ossa di animali tanto quadrupedi che volatili; ed inoltre nel terriccio nero mescolato alle scheggie ed alle pietruzze sulla bocca, come sul fondo sassoso
dell’antro, si rinvennero alcuni oggetti lavorati di bronzo, …e che ora stanno nel Civico Museo di Belluno, insieme con quelli posteriormente ritrovati, e col cranio.
Essi sono: a) una fibula di bronzo ben lavorata ed intera colla sua bella patina lucida, e due frammentate; b) un pendente da cintura ovvero da orecchia, vuoto, della forma di una piccola situla a mancio fisso, pure di bronzo, del diametro di millimetri 12; c) tre anelli di bronzo, uno fuso e, dirò così, faccettato, il quale aveva ancora dentro la falange del dito quando fu scoperto; e gli altri due di lamina; d) un braccialetto, formato di un filo di rame del diametro di forse due millimetri, rotto in due pezzi; e) un frammento, lungo 16 centimetri, di monile o di collana a catenella, gli anelli della quale sono composti ognuno di due fili di bronzo appaiati. Alternativamente gli anelli, cioè quelli che restano in direzione perpendicolare, sostengono uno per uno altri piccoli cerchielli, i quali supportano alla loro volta delle piccole goccioline di bronzo della grossezza di forse tre millimetri: collana che nella sua semplicità non è priva di eleganza.
Il Monti, ottiene poi un sussidio dal governo per proseguire gli scavi …sprofondandosi nell’ammasso delle macerie fino a che ciò fosse compatibile colla sicurezza degli operai; e ripassata la terra smossa e le scaglie, ed esaminata accuratamente ogni cosa, in una settimana di lavoro trovò: f) un anello di filo di ferro dello spessore di 2 millimetri, che quasi non lascia scorgere la saldatura; g) due altri di filo di bronzo aperti; h) due perle di vetro azzurro, bucate e del diametro di 8 millimetri; i) una voluta o spirale di filo di bronzo schiacciato, che forse era parte di un’ansula o fi bula;
j) molti cocci di terra cotta grossolana, alcuni dei quali mostrano ancora le strie del tornio; l) un pendente di argento a pallottola vuota, del diametro di millimetri 11; m) una piccolissima ghiera di lamina di bronzo, di nove millimetri di diametro; n) un chiodo di ferro spuntato e senza testa, lungo cent. 6,5; o) una piastrella della grandezza di centim. 12×5, di pietra arenaria rossigna che doveva servire di cote, cogli spigoli assai smussati e arrotondati. Pietre di tale natura si trovano tra i sassi rotolati dal rigagnolo della vicina valle di Arsié, o meglio nelle ghiaie del Piave, ma non nella grande frana; e quindi fu certamente importata in quell’antro dalla mano dell’uomo. Tutto ciò insieme con molte altre ossa di animali, denti di cinghiali, di lupi, di orso, ed altri grossi denti, probabilmente di uro. Ma quello che reca maggior meraviglia si è, che si rinvennero pure: p) una fusaiola emisferica del diametro di 38 millimetri, formata a quanto si crede del capo di un femore umano; q) un’ascia di una pietra verde durissima (nefrite), della quale non si trova esempio nelle nostre montagne: è lunga millimetri 55 e levigata. Il taglio di questa accetta è curvo, un po più largo del resto (millimetri 37), ed intatto; r) una seghetta di selce bianca lievemente variegata, lunga 85 millimetri, larga 30, colla dentatura nel concavo di millimetri 60.
Parte di questo materiale è ora visibile presso il museo Civico di Belluno.
Testi: I. Alfarè
Allegati
• Depliant percorso ecomuseale Oltrerai
Altri dati
Pagina aggiornata il 10/09/2024